Monthly Archives: Settembre 2016

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Ipotermia terapeutica pre ospedaliera, funziona?

JC. Pre-hospital therapeutic hypothermia: The RINSE trial. St.Emlyn’s

Trad. Paolo Formentini RN

articolo originale quihttp://stemlynsblog.org/pre-hospital-therapeutic-hypothermia-the-rinse-trial-st-emlyns/
JC. Pre-hospital therapeutic hypothermia: The RINSE trial. St.Emlyn’s

Questa volta diamo un’occhiata alla ricerca RINSE (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27562972) che esamina l’uso dell’ipotermia nei pazienti post arresto cardiaco.
l’ipotermia terapeutica ha avuto i suoi alti e bassi in questi anni: inizialmente sembrava che vi fosse un significante beneficio a quei pazienti portati a 33 ° C di temperatura dopo un arresto cardiaco da fibrillazione ventricolare. Vale la pena notare come le evidenze per ritmi non defibrillabili non siano mai state così buone.

Nel 2014 abbiamo avuto la ricerca TTM (targeted temperature management) che ha dimostrato come non vi siano grosse differenze fra pazienti trattati con ipotermia a 33 ° e pazienti trattati a 36 °. Non tutti hanno dato credibilità allo studio, naturalmente, anche perché ricerche su modelli animali suggerivano che l’ipotermia doveva funzionare. “sembrava” poiché sembrava che non potessimo replicare la stessa cosa sugli esseri umani.

Una delle criticità della ricerca TTM era che il paziente non raggiungeva la temperatura target in tempi abbastanza rapidi; questo ha portato i servizi extra ospedalieri a continuare sulla strada dell’ipotermia spinta, nonostante lo studio TTM. Ad essere onesti lo studio TTM dimostrava semplicemente che non vi erano differenze fra le due strategie, non che una fosse meglio / peggio dell’altra.

Quello che ci serviva era invece una prova sul fatto che l’ipotermia precoce – specie in ambito pre ospedaliero – potesse essere efficace o meno. Abbiamo esaminato i dati al St. Emlyn e ci sono un buon numero di ricerche (incluso un piccolo gruppo di studi fatti dagli autori di questo “paper”) che non mostrano significativi benefici, in termini di sopravvivenza, dall’uso di questa pratica.

Non è solo circa il raffreddamento veloce e precoce l’argomento di cui si deve parlare, ma anche se tale pratica effettuata nel periodo intra-arresto, può migliorare un paziente  post ROSC (quindi la sopravvivenza); il raffreddamento  effettuato nel periodo intra-arresto non è lo stesso che il raffreddamento POST-ARRESTO (cosa che non è differenziata nella ricerca TTM). Considerando ciò cambiano le strategie di rianimazione ed avremo anche outcome completamente differenti.

questa settima lo studio RINSE ha rilasciato una pre-pubblicazione sul sito “circulation” http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27562972

E’ uno studio randomizzato e controllato dell’ ipotermia terapeutica nei pazienti in arresto cardiaco. Tale studio dovrebbe finalmente dare delle risposte all’annosa domanda sul fatto che la terapia ipotermica funzioni o no; funzionerà ?

che tipo di studio è questo?

E’ uno studio randomizzato-controllato importante in quanto determina l’efficacia o meno della terapia proposta.

I dati osservazionali sull’ipotermia soffrono di errori e problemi legati alla selezione del campione, così abbiamo realmente bisogno di qualcosa che dirimi la questione e formalizzi la scelta di praticare o meno l’intervento al paziente.

i pazienti sono stati divisi in blocchi da 10  (https://en.wikipedia.org/wiki/Randomized_block_design) assumendo i dati da buste sigillate dalle ambulanze di emergenza extra ospedaliero.

PARLAMI DEL PAZIENTE
questo è uno studio australiano che ruota attorno all’ Australia del sud, dell’ovest e Victoria. Il protocollo di studio è stato pubblicato qui ( https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3207909/ ) Sono stati arruolati pazienti maggiorenni con le usuali esclusioni (donne gravide, traumi o pazienti già freddi). E’ interessante notare che tutti i ritmi sono stati inclusi nello studio, nonostante le prove indichino l’efficacia solo per FV / TV. Tuttavia si potrebbe argomentare che questo è un altro problema, l’ipotermia indotta migliorerebbe il ROSC (così come la sopravvivenza ed il danno neurologico) nei confronti di quei pazienti che hanno già avuto una ROSC. anche nel protocollo di controllo si sottolinea che il numero di sopravvissuti da ritmi non shockabili è estremamente piccolo, circa il 2%, ma che vale la pena includere anche questo gruppo, altrimenti non avremmo alcuna informazione.

Quali interventi sono stati controllati?

Durante gli interventi sono stati infusi, da parte dei paramedici, 2000 cc di NaCl fredda durante l’arresto cardiaco. se questa non faceva raggiungere la temperatura desiderata (34,5°C) si infondeva ulteriore soluzione fino al raggiungimento della temperatura target.

Quali sono i principali risultati?

il primo outcome era la sopravvivenza del paziente al raggiungimento dell’ospedale (anche se io preferisco valutare lo stato neurologico del paziente a distanza dell’intervento, con indicatori come il GOS https://en.wikipedia.org/wiki/Glasgow_Outcome_Scale ) .

1198 pazienti reclutati, 618 randomizzati per l’ipotermia. Il risultato di sopravvivenza alla dimissione ospedaliera era in realtà leggermente peggiore per il gruppo sottoposto a raffreddamento (10.2% VS 11.4% p=0.71).
Nel gruppo ROSC, analogamente, vi era un peggioramento per il gruppo sottoposto a raffreddamento, rispetto all’altro, stavolta maggiormente significativo (41.2% rispetto al 50.6 % p= 0.03%)

gli autori ipotizzano diversi meccanismi per spiegare la differenza coi modelli e gli studi in laboratorio: diminuzione della perfusione miocardica da sovraccarico di volume infuso e incremento nel post ROSC del rischio di EPA dopo ROSC sono le prime supposizioni. Interessante notare anche che non tutti i pazienti hanno ricevuto il volume di soluzione indicato.

Quindi dobbiamo abbandonare la tecnica di raffreddamento ?

Difficile dirlo, i dati di laboratorio dicono di si, [è giusto adottarla], quelli del mondo reale dicono di no [vi è un peggioramento]. La vera domanda è se questa tecnica determina un danno diretto o meno: in questo caso non si dovrebbe fare, in secondo luogo sarebbe anche inutile perdere tempo a fare interventi inutili. allo stato attuale non vi è una risposta univoca, quindi la tecnica è ben lungi dall’avere una giustificazione clinica netta.

References

St.Emlyn’s blogs on Hypothermia

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11. Deasy C, Bernard S, Cameron P, et al. Design of the RINSE Trial: The Rapid Infusion of cold Normal Saline by paramedics during CPR. BMC Emergency Medicine. 2011;11(1). doi: 10.1186/1471-227x-11-17 [Source]

L’Avvelenamento da Acido Solfidrico

L’Avvelenamento da Acido Solfidrico

articolo originale:

Hydrogen Sulfide Toxicity: More than just a rotten egg smell

L’avvelenamento da acido solfidrico rappresenta una eventualità tutt’altra che rara. L’acido solfidrico (H2S) è un gas con un odore di uova marce che si forma come processo di scarto dalla digestione di materiale organico da parte di procarioti. In genere si trova nelle fogne, nei pozzi, nelle sorgenti calde, nei vulcani e viene adoperato o si trova come prodotto / sottoprodotto nel settore industriale petrolifero e chimico.

Altra importante casistica di avvelenamento da acido solfidrico è data dal mescolamento accidentale (o voluto) di detergenti + insetticidi, specie se in ambiente chiuso.

ci sono vari gradi di tossicità e variano in base alla durata di esposizione e dalla concentrazione (ppm) del gas respirato nell’ambiente. Tipicamente la sintomatologia mostra:

irritazione intensa delle vie aeree superiori

  • congiuntivite
  • tosse
  • convulsione
  • dispnea
  • aritmie

a concentrazioni più elevate:

  • “effetto knokdown” (caduta a terra improvvisa)
  • apnea
  • infarto miocardico acuto
  • arresto cardiaco
  • morte

La tossicità dell’H2S è data da un meccanismo simile a quello del cianuro: inbizione del citocromo c-ossidasi nei mitocondri->inibizione dell’ATP mitocondriale -> ostacolo alla respirazione aerobica; inoltre l’H2S avvelena il cervello, particolarmente nei centri del respiro; altro organo bersaglio è il cuore: agendo sui canali del calcio, l’H2S causa aritmie ed edema polmonare.

h2s

le prime azioni (a parte le consuete dettate dall’ABC) dovrebbero includere una valutazione dell’emogasanalisi (arteriosa o anche venosa) per valutare l’ossigenazione; la valutazione dei lattati – dato che l’H2S può fare precipitare in una acidosi lattica- lastre al torace, per valutare un eventuale edema polmonare; ECG  e monitoraggio cardiaco continuo, per valutare le aritmie.

Dal momento che non esiste un test diagnostico per la diagnosi di avvelenamento da H2S il reparto di emergenza deve sospettare la diagnosi in base alla storia pre ospedaliera riferita e alle condizioni in cui è stato trovato il paziente. Ulteriore indagini devono essere fatte per escludere traumi da caduta /svenimento. La Carbossi ossimetria dovrebbe essere presa in considerazione poichè l’H2S provoca metaemoglobinemia. Mai sottovalutare anche i sintomi oftalmici.

  1. Il primo intervento da fare in un sospetto di avvelenamento da H2S è curarsi della propria sicurezza, poi rimuovere (in sicurezza) il Paziente dalla fonte di avvelenamento.
  2. valutaione rapida di ABC
  3. Intubare il Paziente
  4. Supporto con fluidi EV
  5. monitoraggio completo del paziente (compresa la SaCO)
  6. consulenza col centro anti veleni

Dubbia e al di fuori del consenso la terapia basata su nitrito di sodio (0.33mL/kg di soluzione al 3%), poichè tale terapia induce una metaemoglobinemia che aumenta la capacita dell’emoglobina di legare ulteriormente l’H2S, inoltre il nitrito di sodio può causare ipotensione; in un paziente con apnea l’ipossia tissutale può peggiorare; monitorare , nel caso di somministrazione di nitrito di sodio la metaemoglobinemia ogni 30 minuti.

altri provvedimenti che si possono adottare comprendono:

  • utilizzo di ossigenoterapia iperbarica
  • idrossicobalamina e blu di metilene potrebbero essere utili
  • cobinamide, analogo della vitamina b12, può essere efficace, ma non è stato testato sull’uomo

References/Further Reading

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Acknowledgements

Thank you to Dr. Daniel Sessions, Dr. Joseph K Maddry, and Dr. Vikhyat S Bebarta, Medical Toxicologists and EM physicians for their meaningful feedback while producing this document.

articolo originale:

Hydrogen Sulfide Toxicity: More than just a rotten egg smell

traduzione di P.Formentini RN